Sull' Amicizia


In questo celebre brano Cicerone polemizza indirettamente con gli epicurei, che escludono dal sentimento di amicizia ogni eccessivo coinvolgimento, ritenendolo nocivo per l'uomo. (Cicerone, De amicitia 45-47) Alcuni che, a quanto sento dire, vennero considerati sapienti in Grecia, hanno sostenuto tesi a mio giudizio paradossali (ma non esiste argomento su cui non cavillino). Una parte afferma che dobbiamo rifuggire dalle amicizie eccessive, per evitare che uno solo si tormenti per molti; a ciascuno bastano e avanzano i propri problemi e farsi carico di quelli altrui è una bella noia. La cosa migliore, secondo loro, è allentare più che si può le briglie dell'amicizia, tirandole o lasciandole andare a proprio piacere; essenziale per vivere bene è la tranquillità, di cui l'animo non può godere se, per così dire, fosse uno solo a sopportare il travaglio per tutti. Altri, invece, a quanto si dice, sostengono una tesi ancora più disumana; l'ho brevemente accennata poco fa: le amicizie andrebbero ricercate in vista di protezione e appoggi, non per un sentimento di affetto e stima; insomma, quanto meno uno è deciso e forte, tanto più aspira all'amicizia; ecco perché sono le donnicciole a chiedere la protezione dell'amicizia più degli uomini, i poveri più dei ricchi e gli sventurati più di chi è considerato felice. Ma che bella saggezza!

È come se privasse l'universo del sole chi priva la vita dell'amicizia: e niente di più bello, niente di più gradito dell'amicizia abbiamo ricevuto dagli dèi immortali. Allora, che cos'è mai questa tranquillità, in apparenza seducente, ma in realtà da ripudiare per molti aspetti? No, non ha senso rifiutarsi di intraprendere una cosa o un'azione onesta, oppure abbandonarla dopo averla intrapresa, per evitare noie. Ma se fuggiamo le preoccupazioni, dobbiamo fuggire la virtù che, all'inevitabile prezzo di qualche apprensione, ci porta a disprezzare e odiare il suo contrario, come fa la bontà con la cattiveria, la temperanza con le passioni, il coraggio con l'ignavia. Ecco perché si vedono soprattutto i giusti soffrire per le ingiustizie, i coraggiosi per la viltà, i moderati per gli eccessi. E' proprio di un animo ben educato, quindi, rallegrarsi per il bene e affliggersi per il male.

Nella mia vita ho incontrato persone che, per non turbare il loro spirito, non si lasciavano coinvolgere dai drammi altrui; persone che, per non sentirsi emarginati, annullavano il proprio "sè"; persone che, amavano donare senza aspettarsi nulla in cambio, queste ultime sono le cosiddette virtuose. Non credo alla triade di Aristotele (utilità, piacere e virtù) riguardo all'amicizia che, secondo me, ha più sfaccettature così come l'amore. Il mio umile pensiero al riguardo è che noi individui tutti, vecchi, giovani e bambini, siamo davvero vicini quando andiamo oltre la nostra natura terrena e, quindi, materiale, e stabiliamo un contatto animico tra di noi senza condizionamenti esterni.

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